Abbiccì di Ferragosto

A dicembre Micaela aveva proposto un alfabeto natalizio e basandomi su quello che scrissi allora, improntato sui miei ricordi da piccola, ho immaginato la summer edition.

Leonforte


A- Acchiana sta valigia (porta su questa valigia) Delle mie vacanze da bambina in Sicilia la parte che ricordo con più entusiasmo era il viaggio e viaggio significava, oltre che treno, anche valigie. Una quantità industriale di bagaglio perché stavamo nella casa disabitata della bisnonna e bisognava portare ogni cosa, dalle pentole alla biancheria. Il ricordo più divertente per me, che allora ero proprio piccola, era la dinamica di caricamento dei bagagli sul treno. Ai tempi i finestrini si aprivano quindi potevano essere utilizzati per passare le borse all’interno e il nonno (spesso unico esemplare maschio del viaggio) coordinava i lavori dai gradini del vagone con le mani sui fianchi al ritmo di acchiana sta valigia. L’avessi visto sollevare una volta almeno una valigia.


L’assalto alla diligenza


B- (la mia) Banda suona il rock. Ogni volta che la sento non posso non pensare ai viaggi della speranza che facevamo. Tra i vari beni di prima necessità che avevamo in viaggio c’era la radiolina del nonno che suonava incessantemente. Ogni volta che mi capita di sentire la canzone di Fossati un attacco di dolce nostalgia si impossessa di me.


C- Cu si? (Chi sei?). Tipico dei paesi è lo screening completo dei forestieri. Ogni volta che ci si presentava a qualcuno bisognava munirsi di albero genealogico per farsi inquadrare (tipo “io sono il grande Pdor, figlio di Kmer, della tribù di Xtar, della terra desolata del Knir, etc etc”)
D– Duna accura (fai attenzione). Il mantra della vacanza, ma in generale della vita della nonna, era “stai attento”. Metti poi che la casa della bisnonna era piuttosto malconcia e allora diventava tutto un duna accura: o scaluni (gradino), u balcuni, a seggia (la sedia), ‘a scala, insomma a tutto.
F- Frutta. Non si cambiava continente, eppure quando si andava giù c’era un sacco di frutta sconosciuta, come quella tropicale. Primi tra tutti i fichi d’India, ma poi ‘nzinzula, zalora, gelsi, carrubbi.
G- Gioia. Quando si andava al paese rimanevo sempre impressionata dal fatto che tutti mi chiamassero in continuazione gioia e ancora oggi mi domando: ma non è che non avevano capito il mio vero nome è piuttosto che fare figure di merda come chi mi chiama persino Rana preferivano un più generico ma affettuoso gggioia?
H- Hotel. A Leonforte c’è un fatto che per me rimane inconcepibile: non ci sono alberghi. Stiamo parlando di un comune di 13.500 abitanti, mica due anime, eppure non c’è la possibilità di pernottare altrove che non sia la casa di un parente.
I- Imu (andiamo). A Milano per schiodare mia madre di casa bisognava almeno appiccare un incendio nell’appartamento, ma quando si scendeva diventava tutto un “andiamo?” Mercato, zie, amici, campagna, l’importante era andare.
L- Lionforte. Leonforte è il nome del paese della mia mamma. Si trova in provincia di Enna, nel centro della Sicilia, famoso per le fave e per le pesche. Mi ricordo ancora quando andavo alle elementari e tra i compiti delle vacanze c’era il tema su dove si erano trascorse le vacanze. Tutti mare o monti, io mi sentivo un po’ sfigata a dire che ero in collina. Che poi in realtà è un comune montano, ma secondo i miei era collina. E vallo a spiegare ai milanesi per cui Sicilia è solo mare, che esiste un mondo nel suo entroterra! Ricordo ancora gli sguardi interrogativi dei compagni, che se avessi detto che ero stata in vacanza su Giove sarebbero stati meno increduli.
M- Menzaustu (Ferragosto). Scendere in un altro momento dell’anno sarebbe stato un peccato perché tutti i leonfortesi si danno tacitamente appuntamento per ferragosto, quando c’è la festa patronale, della Matri ‘o Carmine (la Madonna del Carmine) . Le luminarie, le bancarelle, i fuochi, la processione fanno scoppiare il paese in un tripudio di luci, voci e colori.
N- Nonni. Loro per me erano la Sicilia e se quei ricordi mi sono così dolci è proprio perché trascorrevamo le vacanze con loro. Se oggi sono così determinata a fare almeno una vacanza all’anno con la mia mamma e i bimbi è proprio perché ci tengo tantissimo affinché anche loro possano costruire una rete di ricordi meravigliosi.
O- Occhialuoro. Un piatto, acqua, olio. Non è una ricetta per il pinzimonio, ma il necessario per togliere il malocchio. Per maggiori dettagli chiedete a qualche anziano del posto.
P- a Parrucchera. Il nonno faceva il barbiere, per cui qui a Milano era impossibile farsi tagliare i capelli da qualcun altro senza evitare una crisi diplomatica. Quando si andava a Leonforte la nonna coglieva subito la palla al balzo e dato che una lontana cugina faceva la parrucchiera con la scusa della visita di circostanza ci infilava taglio e piega.
Q- Quannu vi nni ite? Non si faceva in tempo ad arrivare che veniva chiesto quando saremmo ripartiti. Incontravamo una persona per strada e questa dopo averci chiesto come stavamo ci domandava quando ce ne saremmo andati. Il dubbio di essere ospiti poco graditi era più che lecito.
R- ‘a ranita. Uno dei pochi compiti del nonno era scendere la mattina al bar di fronte casa a prendere la colazione. Se immaginate cappuccio e brioche vi sbagliate di grosso, la colazione si fa cu ‘a ranita (la granita) rigorosamente al limone e la brioscia cu u tuppu (una sorta di panino e al latte). Tutti potevano fare colazione così, io che ero picciridda prima dovevo aver finito quella tradizionale (con latte e biscotti) per poi avere diritto alla mia razione di granita. Per la serie in culo ai nutrizionisti, abbottiamo la picciridda di zuccheri.
S- Scompartimento. Dato che la privacy è fondamentale e che il treno che ci portava giù ad agosto rientrava pienamente nella categoria carro bestiame (ho visto gente dormire per terra e nel portabagagli) noi ci portavamo avanti con grande anticipo con la prenotazione dello scompartimento. Anche perché poi il nostro viaggio lo esigeva: i pasti, i giochi a carte, la radio, la notte da passare, insomma scene di vita da focolare che non è che potevano essere estese agli sconosciuti.
T- Terrazza. La casa della bisnonna era all’ultimo piano di uno stabile e la distribuzione dei locali era la teoria del caos. Non ve la sto nemmeno a descrivere perché non ne sarei capace, ma vi parlerò di quello che era il cuore della casa: il terrazzo. Immenso ai miei occhi, era lì che girava tutta la vita domestica: si mangiava, si ricevevano gli ospiti, si faceva la siesta, si prendeva il sole, si guardavano le stelle la sera. E siccome dava sulla via principale del paese avevamo il privilegio di veder passare, quando c’era, il corteo cu muortu (il corteo funebre) con la banda e interi prati di fiori.

La vedete quella terrazza?
Io la sogno ancora


U- U mari. Come già detto, per me Sicilia non significava mare. L’unico incontro ricco di emozione era quando il treno traversava lo Stretto e il nonno mi portava sul ponte a vedere il mare. Solitamente erano le prime ore del giorno e il nonno, che non rimaneva certo impassibile al profumo unico di quelle acque, mi stringeva forte la mano guardando la sua Trinacria avvicinarsi.
V- Via Riciferi. Tappa forzata durante la nostra permanenza era la visita ai vecchi vicini di casa di mia mamma che abitavano in Via Riciferi. Erano come una seconda famiglia e si raccoglievano spesso con le sedie nello slargo della via a chiacchierare, mondare la verdura e i bambini a giocare. Per un milanese è difficile pensare che esista una realtà così, soprattutto quando per esempio non si sa nemmeno chi abiti nel proprio condominio.
Z- Zia Ancelina. La zia Angelina era la sorella del nonno. Madre di nove figli, era una donna spiccia e accogliente al tempo stesso. Ogni pomeriggio andavamo a trovarla e io amavo quelle chiacchiere sul suo balcone. Quando ripartivamo per tornare a Milano molte lacrime scorrevano sul viso del nonno mentre la salutava.


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