La foto del mare

Da ieri ho negli occhi la foto del piccolo Aylan, steso senza vita sulla spiaggia con ancora le scarpine ai piedi e il viso sprofondato nella sabbia.
Una foto atroce, il mio cuore di mamma non può smettere di guardarla e pensare ai miei piccoli che in quella posizione dormono beati, al sicuro nei loro lettini.
Non voglio parlare di quanto è ingiusto questo mondo che non sa prendersi cura dei propri bambini, non voglio parlare di questi quattro anni di guerra in Siria arrivati a noi come un’eco lontana, non voglio parlare di barconi carichi di uomini e speranza che ricordano molto le navi che arrivavano a Ellis Island il secolo scorso.
Né del diritto di asilo, né del fatto che solo ed esclusivamente il caso ha determinato che io nascessi qui e non a Kobane, né dell’ipocrisia che ci porta a messa la domenica ma ci fa dimenticare qualche pezzo di Vangelo tipo “ero forestiero e mi avete ospitato”.

È sull’utilizzo di quella immagine che ho posto la mia attenzione. Quella fotografia ci ha messo di fronte, per l’ennesima volta, ad una tragedia umana ma più la vedevo circolare sui social più mi sono convinta che non fosse giusto condividerla. 
Chi ha scelto di postarla l’ha fatto perché non mostrarla sarebbe stato come voltare il viso dall’altra parte per non vedere queste atrocità, altri hanno sperato che la pubblicazione di tale scatto così straziante potesse smuovere le coscienze di chi rifiuta l’accoglienza dei migranti.
Altri, è inutile illudersi, l’hanno fatto senza porsi alcuna domanda sulla fruizione  dell’immagine e sul canale utilizzato per la sua diffusione, perché soffrono della sindrome del like coatto e pecorone.
È vero che su Facebook condividiamo le campagne di sensibilizzazione che più ci stanno a cuore, petizioni importanti e notizie tragiche di ogni sorta, ma sono alternati alle foto delle vacanze, video umoristici, battute e barzellette. Davvero può l’immagine così intima della morte di un bambino trovare il giusto posto tra un meme simpatico e la foto dell’ultima abbuffata in montagna? Personalmente non lo trovo rispettoso. 
Più dolorosi ancora sono stati i commenti a questa immagine. Nessuna fotografia di stragi e morti può scalfire i cuori di pietra, sotto la foto di Aylan ho letto cose agghiaccianti che non voglio nemmeno riportare. Non si smuovono coscienze che non ci sono.
Una sola domanda può aiutarvi a capire se per voi pubblicare o meno quella foto sia giusto: se fosse vostro figlio vorreste vedere la sua fotografia circolare così, senza controllo alcuno? Vi piacerebbe lasciarlo alla gogna delle discussioni aride su frontiere e confini?
Per aiutarvi a immedesimarvi voglio usare questo spot di Save the Children. Guardatelo, non c’è bisogno di aggiungere altro.
La vita dei miei bambini non ha più dignità di quella di Aylan. Perché voglio ricordare che solo la fortuna, fato o caso che dir si voglia ha deciso che mia figlia al mare faccia i castelli di sabbia e non ci lasci l’ultimo respiro.
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